Il calendario contestato: tutti i nemici dell’anno zero

Il calendario che utilizziamo da quasi 20 secoli ha come perno la nascita di Cristo; ma il calcolo degli anni non parte da un inizio bensì «da un centro, e secondo il periodo anteriore e posteriore a questo punto intermedio».

Sulla formazione e il significato del calendario cristiano Hans Maier ha scritto un pregevole libretto, che spiega come i primi cristiani utilizzarono questo nuovo computo del tempo in parallelo a quello romano ( Ab urbe condita ) e a quello biblico, definito a partire dalla creazione del mondo secondo i testi ebraici. La nuova datazione s’impose con lentezza perché in primo luogo s’ignorava quanto tempo rimanesse prima della seconda venuta di Cristo (al tempo residuale veniva attribuita poca importanza: «Passano la loro vita sulla terra ma sono cittadini del Cielo», si legge nella Lettera a Diogneto ); in secondo luogo, i cristiani sono stati una minoranza perseguitata sino al IV secolo; in terzo luogo, la nascita di Cristo, annunciata dai profeti, si inseriva nel continuum biblico come compimento della «pienezza dei tempi» collegata ai tempi precedenti (le genealogie di Mt 1,1-17; Lc 2,23-38).

Fu la riflessione su testi neotestamentari (come 1Cor, 8 ,6  o Eb, 1 , 2 -5 : Gesù «erede del cosmo») a ricollocare la storia e il computo del tempo in una prospettiva cristocentrica, spiega Maier. Cristo diventava l’assoluto, il Cristo Re, in base al quale tutti gli altri esistevano transitoriamente. Così si affermò la formula «Sotto il dominio di Nostro Signore» rinvenibile negli atti dei martirologi di Policarpo, Apollonio o Cipriano: qui si parla di un «nuovo inizio» e «la categoria della regalità di Cristo comincia ad avere conseguenze storiche ». Tali martirologi divennero parte costitutiva della memoria ecclesiale e così, nel 525 , Dionigi il Piccolo, su incarico di papa Giovanni I, decretò la fine del tempo secondo il sistema romano, introducendo il nuovo computo «dalla nascita di Cristo».

Ciò rifletteva la trasformazione dell’atteggiamento dei cristiani secondo «questo mondo» e utilizzava, in forme altamente sofisticate, sia i computi lineari sia i computi ciclici (gli eventi che ritornano come la Pasqua, i mesi e i loro nomi, il calendario dei giorni) in profonda interazione. Ad esempio fu adottato l’anno giuliano (365 giorni) con 12 mesi e una settimana di 7 giorni. La domenica, «giorno del Signore», divenne il perno settimanale, con allusione alla domenica pasquale avvenuta dopo lo shabbat . Con il XVII secolo, il calendario si affermò in tutta Europa anche riguardo le datazioni degli eventi accaduti prima di Cristo.

Successivamente non mancarono «anticalendari», come il calendario giacobino che fu utilizzato per anni o quello positivista proposto da Auguste Comte (13 mesi di 28 giorni). Nel Novecento, calendari alternativi furono proposti in Unione Sovietica, nella Germania nazista e nell’Italia fascista, dove il calendario parallelo a quello cristiano fu usato nel Ventennio per determinare gli anni trascorsi dall’inizio «dell’èra fascista».

Oggi, in Occidente, è stata imposta una notazione di data secondo «l’èra volgare» o «comune» che toglie il riferimento a Cristo senza cambiare, di fatto, il calendario. Nonostante questi ritocchi, la datazione dall’anno zero dell’Incarnazione resiste e non vi sono all’orizzonte alternative. L’eliminazione del riferimento a Cristo pare più uno sfregio impotente che però non può snaturare il senso del nostro modo di contare i giorni.

Fonte:  Avvenire – Recensione di Mario Iannaccone del 31 gennaio 2014

1 Commento

  1. Diego

    Lun 10th Feb 2014 at 10:38

    Aggiungo una curiosità, forse poco conosciuta: il calendario gregoriano in uso oggi non prevede un “anno 0”, ma passa direttamente dall’anno 1 a.C. all’anno 1 d.C..
    Questo, tra l’altro, è il motivo per cui l’inizio del nuovo millennio è avvenuto il 1 Gennaio 2001 e non il 1 Gennaio 2000.

    Rispondi

Aggiungi commento

Annulla commento di risposta