Una casa, molti cuori

Quattro parole per raccontare la lunga storia della nostra chiesa, in questo suo primo giubileo. Ora, per noi può essere un edificio “ovvio e scontato”, perché siamo abituati a vedere la sua fisionomia tutte le volte che ci passiamo davanti. Ma in principio non era così, perché una volta non c’era. Vorrei provare allora a spolverare l’emozione primitiva del parroco don Luigi Arienti, quando aveva davanti a sé uno spazio vuoto, forse di terra e sassi, e un sogno da realizzare per una comunità che aveva già lo spazio per la preghiera (cioè l’attuale salone): era il 1972 e si posava la prima pietra per la nuova chiesa. Tra le mani aveva il progetto di un architetto, e una lista di materiali da comprare: mattoni, cemento, ferro, chiodi, eccetera. Una sensazione simile a quella di Michelangelo, davanti ad una pietra di marmo, da cui liberare la Pietà; oppure Leopardi, davanti ad un foglio bianco e dietro la siepe dell’Infinito; o banalmente una mamma che da ingredienti sparsi sforna una torta squisita. È la capacità di trasformare la materia in una realtà che abbia un senso. Specialmente una struttura religiosa, dove accogliere la Grazia Divina nelle sue molteplici forme. Così succede che nel febbraio 1974 si comincia a celebrare nella attuale chiesa, a quanto pare, con il funerale della madre di don Luigi. Da quel giorno, quante preghiere sono state proclamate? Quanti sacramenti? Quante parole semplici e solenni abbiamo pronunciato? Quali sentimenti per le occasioni festose o quelle di lutto? Si intuisce che la costruzione di una chiesa diventa un fatto spirituale, e questo luogo ciascuno lo può ricordare per qualcosa di importante che è avvenuto. È diventato luogo familiare, una casa appunto, dove passano in vari modi tante persone, e si registrano molti battiti di cuori. In questo ci accompagna la memoria e la presenza dei sacerdoti e delle suore, ma anche di molti fedeli che hanno partecipato alla fondazione della comunità e l’hanno sostenuta nel corso degli anni. Chissà quanti sacrifici hanno compiuto per noi! Raccogliamo con gratitudine questo dono, in un abbraccio simbolico, e guardiamo ancora avanti per chi verrà dopo di noi, ai quali consegnare una bella storia di fede.

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