Padre Giuseppe Bragotti, una vita spesa per gli ultimi del pianeta

A ricordo di Padre Bragotti, che tanti nella nostra parrocchia hanno conosciuto e apprezzato, riportiamo di seguito l’articolo pubblicato sul sito del decanato.

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“Il coraggio non gli mancava”. Nel dialogo che abbiamo avuto con Carla Bragotti della parrocchia di San Pio X, sorella di Padre Giuseppe, scomparso alla metà di giugno all’età di 85 anni (come annunciato in questo articolo), emerge l’immagine di un ragazzo generoso e assai intraprendente, un giovane seminarista salpato verso gli USA con le idee ben chiare riguardo la sua vocazione. Nel corso dei decenni è diventato anche una delle voci più autorevoli dei Comboniani, svolgendo un’attività di cronista e divulgatore dei progetti che i padri missionari portavano avanti in tutti i continenti. Vogliamo ricordarlo ulteriormente, proponendo qui alcuni estratti dei suoi scritti.

Father Joseph era partito poco prima di compiere vent’anni per gli Stati Uniti d’America, come sottolinea la sorella e come lui stesso descrive in un blog in lingua inglese, su cui negli ultimi anni della sua vita pubblica racconti delle sue esperienze e diverse riflessioni.

“È il 14 settembre 1957 alle prime luci dell’alba. Il maestoso transatlantico italiano Giulio Cesare si sta lentamente avvicinando al molo di Midtown Manhattan. Sono in piedi sul ponte insieme ad alcune centinaia di altri passeggeri. Attraverso la nebbia mattutina, vediamo in lontananza la sagoma sfocata di Lower Manhattan e, maestosa alla nostra sinistra, la Statua della Libertà. Questo è ciò che ci ha fatto muovere dalle nostre cuccette all’alba e ci ha condotto fuori. È come essere sul set di un film ed è tutto molto, molto reale. Troppo reale anche per essere descritto a parole. […] Avevo compiuto vent’anni il giorno prima, ancora in mare, mentre la presenza comboniana negli Stati Uniti aveva poco meno di diciotto anni. I primi Missionari Comboniani, allora chiamati Figli del Sacro Cuore e conosciuti come Padri di Verona, erano arrivati negli Stati Uniti nel novembre del 1939”.

Padre Giuseppe aveva iniziato i suoi studi al Seminario dell’Arcidiocesi di Milano, li aveva proseguiti e conclusi oltreoceano, dove era stato ordinato sacerdote.

“17 marzo 1962. Era il sabato prima della Domenica delle Palme e giorno tradizionale per celebrare le ordinazioni sacerdotali. Numerosi candidati hanno affollato l’altare della bellissima chiesa dell’Immacolata nel parco dell’Università di San Diego. Il 17 marzo 1962 segnò l’inizio di una grande avventura nel tipico stile comboniano: tutto o niente. Con piacere, non è ancora finita”.

Lo spirito missionario di Padre Giuseppe emerge in ogni esperienza della sua vita, anche le più difficili e drammatiche, come nel dicembre 1990, quando, insieme a un operatore di una troupe televisiva della RAI, viene rapito da alcuni soldati ribelli in Uganda.

“Eravamo ben sorvegliati. Non c’erano vetri alle finestre e nessuna porta d’ingresso. Ci hanno dato un materasso sottile e una coperta, una sedia, un tavolo con solo tre gambe e una candela. Venti soldati armati fino ai denti furono mandati a tenerci sotto controllo. Si sono presentati con un impressionante schieramento di Kalašnikov, due mitragliatrici, un bazooka e persino un cannone antiaereo. Mentre chiacchieravo con loro durante gli otto giorni di prigionia, mi resi conto che la maggior parte di questi giovani era cresciuta nelle nostre scuole missionarie e ricordava con affetto quei giorni come gli unici momenti felici della loro giovane vita”.

Nel 2008, all’età di 71 anni, viene assegnato alla missione di San Luis Petén in Guatemala tra i Maya, un’esperienza tra le più intense della sua esistenza. Ricordava sempre con profondo affetto i fedeli conosciuti e i momenti più significativi della vita comunitaria.

“Il momento clou del Venerdì Santo a San Luis, come nella maggior parte delle città guatemalteche, è la rievocazione dal vivo della Via Crucis come una lunga processione durante la quale le statue di Gesù, la sua Madre Beata, Maria Maddalena e l’apostolo Giovanni vengono trasportati su aiuole di fiori, segatura colorata e persino frutta. Tutta la gente della città vi prende parte come attori, portantini o spettatori”.

Come abbiamo evidenziato inizialmente, Father Joseph ha svolto pure una significativa attività divulgativa delle attività dei Missionari Comboniani anche per generare nuove vocazioni, viaggiando in tutto il pianeta.

“Il mio ministero consisteva nel condividere l’essenza della presenza della Chiesa attraverso omelie, resoconti e fotografie della missione. Fu l’amore appassionato di Comboni per essa che mi conquistò da giovane. E l’ho fatto con particolare entusiasmo quando ho parlato, sfidato, ispirato e guidato in ogni modo possibile i giovani d’Europa, d’America e d’Africa”.

Condividiamo quest’ultimo pensiero di Padre Giuseppe in suo ricordo, pregando per lui e per nuove vocazioni che possano scaturire dal suo esempio.

“Non importa dove sono stato. Ho cercato di servire offrendo, celebrando, spiegando e glorificando l’Eucaristia. L’ho fatto con i Maya che morivano di fame dopo decenni senza il Pane della vita, ho celebrato la Messa all’ombra di alberi tropicali nell’Africa orientale e ho usato un Messale portoghese per concelebrare in Cina. Ho spiegato ogni parte della Messa, ogni volta che ce n’era bisogno. Ero felice di vedere le persone apprezzare il Dono di tutti i doni”.

Di seguito alcune immagini tratte dal blog e dal profilo Facebook di Padre Giuseppe

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