Le tre parole di Don Bosco oggi

Don Bosco è sacerdote da quattro anni e conosce i ragazzi che a Torino lottano per vivere: giovani muratori, operai, spazzacamini, ragazzi in cerca di lavoro. Non conosce ancora però quelli che, in questa lotta per la vita sono finiti in carcere.
Don Cafasso è uno dei cappellani delle carceri. Perché don Bosco capisca fino in fondo la realtà dei giovani, un giorno lo invita ad accompagnarlo in carcere e da quella visita Don Bosco ne esce profondamente turbato…
«Questi ragazzi dovrebbero trovare fuori un amico che si prende cura di loro…» Il suo pensiero è quello di prevenire in loro quelle tristi esperienze della vita.
Don Bosco chiamerà il suo metodo educativo “sistema preventivo”, consiste in tre elementi: ragione, religione e amorevolezza.
Proviamo a tradurli per l’oggi, riscrivendoli così: parola, fiducia e tenerezza.
La “ragione” di don Bosco deve diventare oggi “parola”. Il papà e la mamma, e ogni educatore devono restituire a questi ragazzi lo spazio della parola, indicandone la direzione in cui andare, fungendo da guida negli eventi della vita e dando consigli amorevoli, mentre correggono e incoraggiano.
Oggi potremmo dire che la nostra educazione deve essere “ragionevole”: essa dev’essere capace di spiegare le buone ragioni di quello che ti dico, di farti crescere, perché ti aiuta a diventare adulto, ti fa sognare in grande.
La “religione” si potrebbe tradurre in “fiducia”. La fiducia data a chi s’affaccia al futuro non è mai troppa, bisogna spenderne un po’ di più nei loro confronti.
Significa guidare i ragazzi all’incontro con Cristo, vera fonte di gioia, suscitando in loro una fiducia in Gesù, vissuta nella realtà quotidiana, fatta di presenza di Dio e di disponibilità alla sua grazia. L’educatore li invita ad accostarsi con frequenza ai sacramenti della Confessione e Comunione e inoltre prega per loro e con loro.
“Amorevolezza”. Oggi la traduciamo con “tenerezza”. La tenerezza viene come terza ed ultima parola, ma non viene per ultima, anzi comprende le prime due. Si può raccontare la vita buona, si può essere papà e mamme che spiegano i loro interventi educativi, si può essere educatori che infondono fiducia alle nuove generazioni, solo se fin dall’inizio si è mossi dall’amorevolezza e dalla tenerezza.
La vera tenerezza si prende cura dell’altro, vi dedica la sua passione e la sua vita.
Ancor di più: la tenerezza considera ciascuno di questi ragazzi e giovani una persona singolare, irripetibile. Il bambino cresce, l’adolescente diventa grande, il giovane trova la sua strada, solo se si sente guardato con uno sguardo di singolarità, di amore personalizzante, che lo fa diventare unico, irripetibile.

                                                                                                        Suor Giovanna

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