Il deserto: luogo di rinascita
Giovanni è il messaggero inviato da Dio davanti a Gesù, è l’uomo del deserto, porta un abito come quello di Elia e dei profeti, il suo cibo: prodotti spontanei della natura, radici e miele selvatico e non come noi che consumiamo la pasta o la pizza; la sua vita ascetica è quella di un uomo che non frequenta né potenti né luoghi urbani. Eppure tutti gli abitanti di Gerusalemme andavano da lui. Deserto, luogo di solitudine, tra cielo e terra, fra il tutto e il niente, ostile alla vita umana, che però diventa luogo di rinascita, perché è proprio il deserto luogo delle grandi rivelazioni di Dio. Nel deserto Mosè vede il roveto ardente, e lì che Dio gli dona la Legge del suo popolo, deserto spazio ostile per giungere alla terra promessa, spazio di silenzio per raggiungere la pace interiore e farci comprendere ciò che abbiamo nel cuore.
Il deserto mi richiama e mi porta a rivivere l’esperienza propositiva e positiva che ho fatto l’estate passata, recandomi nella mia terra la Tanzania, una canzone cantava: nel continente nero alle falde del Kilimanjaro, ci sta un popolo di neri: i Vatussi, ebbene sì, io non ho incontrato i Vatussi ma i Maasai. Sono stato tra i Maasai, ho vissuto con loro per qualche giorno condividendo le loro tradizioni, pur non essendo molto ospitali, io non ho avuto difficoltà a stare in mezzo a loro e celebrare la Santa messa. Molti Maasai infatti sono cristiani, in Tanzania il 31% della popolazione è cristiana. I Maasai vivono perciò nel deserto, sono tradizionalmente pastori, e la loro cultura gravita attorno alla cura del bestiame, hanno una struttura patriarcale, gli anziani hanno potere decisivo quasi assoluto, sono monoteisti e credono in Eukai, dio con colori diversi, secondo lo stato d’animo, a secondo dell’umore: nero quando è buono, rosso quando è irritato.
È difficile raggiungere e parlare di un Dio uno e trino perché i Maasai oltre che essere convinti si credono di essere un popolo eletto e gli animali sono un collegamento diretto tra il popolo Maasai ed Eukai, gli animali quindi sono considerati sacri, convertire un Maasai è difficile perché si spostano continuamente, sono nomadi, sono irraggiungibili. I bambini sono impegnati già da piccoli con un lavoro pesante sorvegliano le mandrie nella savana, mentre le bambine hanno il compito di portare l’acqua, pulire la casa e aiutare in cucina. Per questo motivo non potrebbero seguire una catechesi perché sono impegnati tutto il giorno in un lavoro pesante. I bambini escono al mattino e tornano alla sera e le bambine percorrono chilometri per andare a prendere l’acqua, inoltre puliscono casa e aiutano in cucina.
Giovanni come i Maasai si è ritirato nel deserto per preparare la via del Signore.
Il deserto diventa quasi protagonista in Giovanni e nei Maasai, anche noi in questo periodo d’Avvento, dobbiamo staccarci dai rumori del mondo e da tutto ciò che crea confusione in noi, vivere il deserto del nostro cuore, come luogo di incontro, di amicizia e di amore. Forse ha ragione Henri le Saux quando scrive: “Dio non è nel deserto; è il deserto che è il mistero stesso di Dio.”
Don Mathias
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