E’ tempo di volare! Smettere di mangiare avanzi (Lc 12,22-31)

Il gabbiano Jonathan Livingston non poteva tollerare quel modo di vita abituale trascorso nel cercare il cibo tra i rifiuti del mare. Voleva imparare a volare. Anche Gesù sembra essere della stessa idea: ci diamo pensiero per il mangiare e il vestire, ma sono davvero le cose più importanti? Quali preoccupazioni nascondono? Il mangiare è un termine chiave in tutta la Sacra Scrittura. Anzi, potremmo rileggere tutto l’itinerario biblico alla luce di una educazione al mangiare. Si tratta infatti di un percorso che inizia con un invito a “mangiare di tutti gli alberi del giardino” (l’amicizia con Dio è fatta di cose belle da mangiare) fino all’invito di Gesù che, donando la propria vita, dice “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, questa è la vita”, e in questo modo, donando la sua vita, ci permette di ritornare nel giardino, per ritornare a gustare le cose belle che Dio ha messo a nostra disposizione. Il creato si può gustare infatti solo all’interno di una relazione ordinata che non confonde i ruoli tra la creatura e il Creatore. Tutta la Scrittura esprime quindi questo desiderio di Dio di nutrirci, cioè di tenerci in vita. Dio vuole farci camminare verso la vita. In questa luce, il peccato diventa il rifiuto di ricevere da Dio la vita, perché vogliamo procurarcela da soli. Il peccato nasce dall’illusione di cercare la vita altrove, cioè di cercare fonti alternative di vita, ma l’esperienza ti dice che lontano dalla casa del Padre hai trovato solo carestia, e morte. E ti sei incollato proprio a queu padroni da cui cercavi di liberarti. Questo richiamo al mangiare ci esorta dunque a chiederci: dove cerchiamo la vita? Cosa ci tiene vivi? Per cosa viviamo? Di cosa si nutre il nostro spirito? Il termine indossare ci richiama l’immagine che diamo di noi stessi. Se il mangiare riguardava più propriamente la relazione tra me e Dio, e quindi il modo in cui questa relazione può essere alterata, il vestire ci rimanda piuttosto al modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Il vestito dice qualcosa di noi. Ci copriamo per non mostrare la nostra fragilità, come Adamo ed Eva, quando ormai la relazione tra loro e con Dio non è più sana e sentono il bisogno di nascondersi. La preoccupazione per il vestito è quindi un’immagine della nostra preoccupazione per il modo in cui gli altri ci vedono.  Si tratta di quella preoccupazione per la scelta della maschera quotidiana da indossare per sopravvivere. Quanto mi preoccupo dunque di questa immagine? Quanto sto soffocando sotto il peso della mia maschera? Quanto sono schiavo del potere dell’immagine? […] Gesù ci aiuta a individuare anche il motivo per cui essere liberi: “Se dunque Dio…”, i pagani si preoccupano ma voi avete un Padre celeste. Dio conosce i nostri reali bisogni come un padre/madre conosce quellidei suoi figli. Isaia ci dice che se anche una madre si dimenticasse del proprio figlio, Dio non si dimentica di noi. Dio è così: madre e padre. Ed è questa certezza che fonda la nostra libertà e che ci consente di non attaccarci ad altri padroni, restando in ansia.
C’è qualcosa di più grande da cercare: il Regno, la presenza, di Dio.

                                                                                                      Gaetano Piccolo sj

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