Oltre la porta, la speranza: la Porta di Brandeburgo
II domenica di Avvento
Secondo passo verso il santo Natale, con la presentazione di alcune porte simboliche attraverso le quali è passato il cammino umano. Nella prima domenica abbiamo conosciuto la “Porta del non ritorno” in Benin.
Questa seconda domenica è segnata dalla Porta di Brandeburgo: uno dei simboli di Berlino, ha rappresentato prima la divisione della città in Est e Ovest durante la guerra fredda, poi l’unità della Germania dopo la caduta del Muro, che era stato eretto nel 1961.
Durante il discorso tenuto nel 1987 a ridosso del Muro, il Presidente USA Ronald Reagan esclamò: “Signor Gorbačëv apra questa porta! Abbatta questo muro!”. Il momento sarebbe arrivato solo il 22 dicembre 1989.
Durante quegli anni bui, il monumento si trovava lungo il confine, in una terra di nessuno, con torri di controllo, fari di ricerca, allarmi e Volkspolizisten armati e non si poteva attraversare da nessuno dei due lati. Eppure, aveva un notevole valore storico: inaugurata nel 1791, alta 26 metri, sulla sua cima è situato un carro guidato dalla dea greca della pace Eirene con quattro cavalli.
Durante quegli anni tremendi, un popolo intero si era ritrovato diviso: famiglie, amici, colleghi non potevano più riunirsi, senza sapere fino a quando.
Così questa porta vuole raccontare la storia di tante divisioni che esistono nel mondo, conflitti che portano a costruire barriere invalicabili, simbolo dell’odio e della cattiveria umana.
Oggi nelle sue vicinanze c’è la Stanza del Silenzio, uno spazio dedicato alla memoria e alla riflessione.
È dunque la storia di una porta chiusa, come si chiudono le porte quando non ci si parla più e crescono muri a volte perfino invisibili.
Purtroppo, questi muri esistono ancora nel mondo, separano le persone ed i popoli, e sono il terreno fertile per il sentimento dell’odio, motivo di conflitti e tensioni. Eppure, dietro quei muri esiste ancora una porta.
Don Andrea
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