Lampedusa dal 13 al 15 ottobre 2025

Pronti Via! Chi lo direbbe che a due ore da Milano trovi di nuovo l’estate? Con l’aereo si intende, approdiamo a Lampedusa: una decina di persone, cinque di Renate (Antonio, Mirko, suor Renza, Angela) con don Claudio, cinque della nostra parrocchia, ovvero Silvia e Giovanni, Laura e Marco, con don Andrea. Il caldo che ci riceve all’arrivo ci obbliga a togliere i vestiti milanesi e indossare magliette e pantaloni corti e infradito. Cosa faremo qui è ancora da decidere: di fatto però sappiamo di essere accompagnati dal locale parroco e da Vito Fiorino. Nel frattempo incrociamo all’aeroporto anche Don Luigi Ciotti, di Libera, da sempre impegnato contro la mafia, anche lui diretto all’isola. Ci salutiamo cordialmente, mentre la sua scorta ci guarda con sospetto. Abbiamo voglia di conoscere questa realtà di frontiera, per questo già nel primo pomeriggio andiamo a spasso per le strade: sono tutte vuote, sembra un paese addormentato, tutte le attività cominciano almeno dopo le 17:00. C’è aperto solo un bar , e ne approfittiamo per una merenda con granita e brioche.
Poi noleggiamo delle biciclette e ci avviamo alla nostra prima tappa: la Porta d’Europa, ovvero un monumento su un promontorio, rivolto alle terre d’Africa. da qui domina un paesaggio straordinario, ovvero mare e cielo a perdita d’occhio. Bellissimo, ma le storie delle migrazioni ci raccontano anche fatti di morte e disperazione su quel mare. Foto di rito, anche ricordando il nostro cammino di avvento scorso. Il mare ci avvolge dappertutto, un richiamo straordinario. Decidiamo di andare a toccarlo, scegliendo Cala Francese, uno di quei numerosi anfratti in cui il mare si insinua nell’isola in modo gradevole, su piccole spiagge. Si fa sera, torniamo alla Porta per pregare i vespri. L’ora del tramonto sul mare, con a fianco la bandiera della pace, peraltro sfrangiata dai venti, è certamente suggestiva. Poco dopo incrociamo suor Maria e il parroco don Carmelo. La prima corre al molo Favarolo, per accogliere dei migranti appena sbarcati. L’altro ha la messa. L’ora di cena cambia faccia all’isola, che si riempie di vita e di persone. Anche noi facciamo due passi, visitiamo l’archivio fotografico che racconta la storia umile di Lampedusa, quella precedente al turismo di massa, fatta di pescatori e gente semplice. Foto in bianco e nero, un’epoca fa. Ci fermiamo al belvedere: il mare da lontano è nero, incute un certo timore. La giornata è passata, buonanotte.
Martedì 14
Salutiamo l’alba dalla Porta d’Europa. Il mare è liscio, la brezza accompagna le lodi del mattino. Incontriamo Vito Fiorino a colazione e parte la narrazione (ci parla della popolazione giovane, racconti di migrazioni, dialetto Lampedusa, del prossimo incontro a Cinisello il 18 novembre). L’isola incontra il turismo negli anni 80 con i missili di Gheddafi e poi gli sbarchi nei primi anni 90 (all’inizio i migranti erano ospitati nelle case, poi in container, poi in casette prefabbricate, poi nell’hotspot). I migranti che arrivavano pensavano di essere già in continente.
Facciamo due passi e scopriamo il Giardino dei Giusti e il monumento memoriale del naufragio del 3 ottobre (fatto da Vito). Qui sono segnati i nomi dei migranti defunti a poche centinaia di metri dalla costa. Persone non numeri.
Visitiamo poi il Santuario giubilare della Madonna di Porto Salvo, dove viveva un eremita che accoglieva chiunque arrivasse. Ricorda la vocazione dell’isola alla ospitalità.
Ed ecco il mare in tutta la sua bellezza: un’ora alla spiaggia dell’Isola dei Conigli diventa indimenticabile.
Nel pomeriggio incontriamo don Luigi Ciotti, ci dedica davvero tempo e calma. Ci racconta la storia del gruppo Abele e Libera, le dipendenze attuali – gli hikikomori ovvero i “ragazzi ritirati”, gli alcolisti, il gioco d’azzardo, la potenza delle mafie, l’amicizia con Papa Francesco. Don Luigi è sempre accompagnato dalla scorta. Ci saluta caramente e speriamo di rivederlo.
La S. Messa serale è condivisa con due sacerdoti indiani, il locale parroco è impegnato con due matrimoni.
Ceniamo a casa di Vito, fuori dall’ abitato. Piatti a base di pesce ovviamente. Dà l’idea che quest’ uomo cercasse una propria pace personale in cui ritirarsi. Invece a 76 anni si ritrova a girare Italia ed Europa per raccontare la storia di un naufragio e l’amicizia con i migranti. Si fa tardi e l’aria si fa perfino freschetta. Finita anche questa giornata. Buonanotte.
Mercoledì 15
Di nuovo parte il giorno, le ore diventano preziose quanto veloci. Chi va a vedere il mare, chi prega le Lodi alla Porta. Ci riunisce la colazione, di nuovo con Vito. Poi incontriamo tre suore locali, di tre diverse congregazioni: Suor Maria (rumena) e suor Colette (belga, piccole sorelle Charles de Foucault), suor Cristina (carmelitana). Hanno, tra le altre cose, il compito della prima accoglienza dei migranti che arrivano. Li aspettano al molo Favarolo, dove gli si dà cibo e coperte, prime visite urgenti, uso del bagno. Raccolgono i loro primi racconti, belli e brutti. Chi vive, chi muore, chi sta male. Poi i carabinieri li caricano su un pullman dai vetri scuri, fino all’hotspot, dove si identificano, in attesa di essere trasferiti. Sull’isola nessuno li vede, passano come invisibili. Si sorprendono di essere trattati bene dopo tante violenze.
Raccontano dei giovani che arrivano, perfino dal Bangladesh, le mamme con i bambini, i minori non accompagnati.
Dunque tre suore insieme, di carismi diversi. Gente che ha girato il mondo e ora si trova su un’isola. Per i turisti è un incanto, per chi ci vive è uno spazio chiuso. Anche i locali, per esempio per la salute devono tornare in Sicilia. A volte non trovano posto (troppi turisti!). La vita sull’isola è complicata.
Ogni suora racconta come è cambiata la loro vita. I pregiudizi sui migranti cadono. Per esempio la TV li mostra con i cellulari, ma è proprio l’unico legame con la loro terra. Ci si rende conto di fare molto poco, ma quel poco di bene per loro è molto. La situazione ci ricorda che siamo tutti migranti, a partire da Abramo. C’è il legame con la parrocchia, ma specialmente per i bambini non c’è granché. Solo un po’ di catechismo. Non c’è l’oratorio. E i bambini sono tanti.
Finisce l’incontro e ne usciamo consolati dalle belle persone che abbiamo conosciuto. Ci rimane tuttavia ancora tempo: ne approfittiamo per visitare il cimitero, dove qua e là ci sono “migranti non identificati”: da qualche parte nel mondo, delle famiglie cercano i loro cari e non sanno più dove sono, e loro sono qui come persone senza nome. Poi a Silvia si rompe la catena e deve tornare con Giovanni. Gli altri invece cercano il loro angolo di mare in cui meravigliarsi un po’.
Dopo pranzo le nostre strade si dividono. Giovanni e Silvia, Marco e Laura restano sull’isola, per ulteriori scoperte. In serata avranno la veglia di preghiera con don Ciotti in parrocchia e giovedì la marcia della pace con le scuole.
Gli altri ripartono. Emerge la sensazione di trovarsi su un luogo di frontiera, dove succedono cose di valore. Certamente l’isola ha un mare stupendo, un chiaro atteggiamento di ospitalità, ma anche rumore, disordine, trascuratezza. C’è tanto da fare.
Pensieri così, mentre intanto l’aereo atterra. Di nuovo in abiti pesanti: si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.

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