I ragazzi di Don Bosco

Nella memoria del santo patrono del nostro oratorio, vogliamo curiosare tra i ragazzi che hanno vissuto con lui.
Michele Magone (Carmagnola, 19 settembre 1845), viveva come un birbante, per strada, orfano di padre, cacciato dalla scuola, difficile a domarsi. Incontrò don Bosco alla stazione del treno in una fredda sera di autunno. In quel tredicenne scapigliato lui vide un’anima preziosa che andava alla deriva. Lo invitò a Torino e lui ci andò. Gli fu dato un “angelo custode”, cioè un ragazzo più grande, per guidarlo con bontà. Un giorno cominciò ad intristire. Non era una crisi nostalgica ma la consapevolezza di averne fatte di tutti i colori: Michele non si sentiva degno degli altri compagni dell’Oratorio, che pregavano la Madonna e ricevevano la Santa Comunione. Don Bosco riuscì a condurlo ad una confessione generale. Da quel giorno Gesù divenne il suo amico più importante e il suo carattere diventò più docile. Il 18 gennaio 1859 improvvisamente Michele accusò dei dolori allo stomaco, a sera il male si aggravò pesantemente. Tredicenne, donò a Dio la sua giovane anima, mentre i compagni pregavano per lui nella Cappella dell’Oratorio.

Francesco Besucco (Argentera, 1° marzo 1850), veniva da una famiglia in estrema povertà. Il parroco don Francesco se lo prese a cuore, offrendogli pane e scuola. Poi lo presentò a don Bosco. A lui bastò notare la riconoscenza del ragazzo, perché «la gratitudine nei fanciulli è segno sicuro di un felice avvenire». Gli regalò la sua regola pedagogica: «Allegria, Francesco! Poi studio. Infine, la pietà, cioè la cura della preghiera e dell’amore verso gli altri». Così lo vedevano pregare intensamente, giocare in modo appassionato, incitare al bene i compagni. Lo trovarono intirizzito a letto la mattina del 3 gennaio, senza la forza di alzarsi: polmonite! Quattro giorni dopo Francesco esalò l’ultimo respiro sussurrando: «Muoio col rincrescimento di non aver amato Dio come si meritava!».

Domenico Savio (Riva di Chieri, 2 aprile 1842), quando il papà ritornava stanco dal lavoro, lui l’attendeva per dirgli: “Sei stanco? Prego il buon Dio per te”. A sette anni fu ammesso alla prima Comunione. Con il cuore in festa si fissò quattro propositi: “Mi confesserò e comunicherò sovente; voglio santificare le feste; i miei amici saranno Gesù e Maria; la morte ma non peccati”. Quindici chilometri ogni giorno per andare a scuola, a piedi, per strade insicure. Una mattina d’inverno i compagni riempirono la stufa di sassi e di neve, poi accusarono: “È stato Domenico”. Il maestro lo punì, ma allo scoprire la verità lui rispose che “quel tale, già colpevole di altre mancanze, sarebbe stato cacciato da scuola”. Il 12 ottobre 1854, papà Carlo lo accompagnò da Don Bosco all’oratorio di Valdocco. Nel suo ufficio notò una scritta: “Da mihi animas, cetera tolle”. Da quel giorno, Domenico diventa l’intimo amico di Gesù e grande aiuto di don Bosco. Poi si ammala gravemente. La sera del 9 marzo, mentre il papà gli legge la preghiera della buona morte, Domenico si colora in volto e dice: “Addio, caro papà… Oh che bella cosa io vedo mai…”.

Nessun commento

Aggiungi commento