La mia cura? Si chiama Skype

Di cattivo uso della tecnologia si può morire. La storia della ragazzina suicida a Padova, qualche giorno fa, per gli insulti e le incitazioni ignobili ricevute su un social network riempie ancora di inquietudine. Eppure di buon uso della tecnologia si può vivere. E lottare per vivere, chissà, forse anche guarire. Lo sa bene Chiara, una ragazza di Cesena di 14 anni ricoverata all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Che – non importa le flebo e le visite continue di medici e infermieri –, penna e taccuino alla mano, ogni giorno segue le lezioni e rimane in contatto con la propria classe. Grazie a Skype, in video conferenza.

Il sistema è alla portata di tutti: basta un pc, una piccola videocamera e una cuffia con microfono. Il resto lo fa chi lo usa. E alla scuola di Chiara, il liceo classico Monti, hanno deciso di utilizzarlo bene. Tanto da spingere i suoi genitori a scrivere al preside: «Per nostra figlia – scrivono mamma e papà – questo ricovero è stato per la prima volta meno stressante, oseremo dire più piacevole, grazie al fatto che le è stato reso possibile partecipare attivamente alle lezioni, permettendole di sentirsi parte integrante della classe anche mentre attendeva l’ingresso in sala operatoria». Anche il personale ospedaliero del Bambino Gesù è rimasto molto colpito: «Nonostante la moltitudine di ragazzini ricoverati ogni giorno – raccontano i genitori di Chiara – non hanno mai assistito ad un’idea così innovativa, utile a distrarli e a mantenere un’apparente normalità».
di Viviana Daloiso

Fonte:  Avvenire del 15.2.2014         (dalla rubrica “Dulcis in fundo”)

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